Mi
spaventano le foto di “ordinaria normalità” che ci vengono proposte all’indomani
di una violenza e che ci raccontano che, l’emozione di quel momento scattato,
si può trasformare in furia omicida.
Mi spaventano perché le sento indice di una morbosità che va oltre l’accaduto
che è già talmente feroce da non aver bisogno di essere sostenuto da immagini
borderline, apparentemente così distanti ma tragicamente così parlanti.
Mi spaventano perché ci obbligano a memorizzare quei sorrisi e alimentare
l’odio verso un mostro, per il quale - col senno di poi - siamo tutti pronti a
trovare la prevedibilità del gesto anche qualora non fosse reo confesso.
Mi spaventano perché saremo ammaestrati nel tempo e se il dramma bucherà così
tanto lo schermo da diventare “evento mediatico”, esso stesso avrà il nome del suo carnefice e alimenterà
salotti di ogni genere.
Mi spaventano perché non vorrei sentire più parlare di #femminicidio, pensare
di avere paura all’idea di conoscere il nuovo o - peggio ancora - all’idea che
persone a me vicine possano subire un rischio per la semplice voglia di vivere.
Non penso unicamente a mia figlia, riflettere solo da mamma oggi mi farebbe
sentire una persona limitata.
Dobbiamo imparare a perdere, dobbiamo metterci in gioco con gli altri e in
discussione con noi stessi.
Dobbiamo imparare a reggere le frustrazioni, a capire i nostri limiti e
crescere… quanto ancora dobbiamo crescere come esseri umani!
E dobbiamo scusarci con le nuove generazioni, spiegando ed insegnando loro che
lo schifo a cui assistono e subiscono, non assomiglia al futuro che abbiamo
pensato di dare loro.
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